domenica 25 dicembre 2011

Capitolo 2



[Istruzioni per l'uso: sentire Pink-Floyd mentre leggete]
Il mondo ha perso i colori, solo il bianco e grigio sono rimasti, ha perso anche i suoni, ha perso gli odori e i sapori, solo il bianco e grigio sono rimasti.
Una donna, alta e snella, nell'oscurità fissa una parete, lacrime amare scendono sulla sua bocca, la fredda canna di una pistola sfiora appena i capelli di lei, lentamente si poggia sulla tempia, la donna piange e i pensieri che se ne vanno, solo il bianco e il grigio sono rimasti.
Il pianto di un bambino irrompe nell'aria come un bombardamento, il cuore di lei va in cancrena, la mano trema, gli occhi si chiudono, i denti mordono il labbro, il dito si muove,il colpo esplode.
Ormai è troppo tardi, ormai tutti se ne sono andati, è rimasto solamente il bianco e grigio, ormai tutto è finito, la donna cade su di un lato,la testa aperta, il cervello per terra, gli occhi sbarrati,la pistola fuma, il sangue cola, ma ormai è troppo tardi ormai è rimasto solo il bianco e grigio e un immensa macchia rossa.
Si sveglia, gli occhi sgranati, l'adrenalina che pompa nelle vene, le mani a serrar le coperte, il fiato è corto, la bocca è semi aperta. Veloce guarda la finestra, piove, una bestemmia in bocca, mentre cerca di riprendere fiato.
Una sveglia dai colori fosforescenti segna imparziale l'ora, neanche le 5 di mattino, inutile tornare a dormire, si alza, nuda di una bellezza imbarazzante, si dirige verso il bagno, gia sa che quella notte è rovinata che mai riprenderà sonno, la mente che vola.
Una doccia veloce, pantaloncini e canottiera a brandir la sua pelle, i biondi capelli legati dietro, si siede davanti al suo caffè che ancora fuma. Gli occhi, gia vispi e pronti vagano per la casa.
Un ampio salone si spazia davanti ai suoi occhi, le pareti bianche, solo qualche foto in bianco e nero appesa al muro, foto di particolari di donne come occhi, labbra, seni, linee che sembrano quasi immaginari. Un divano di nera pelle si stanzia davanti al televisiore piato, una libreria che percorre due dei tre lati delle mura, gonfia di libri quasi dovesse scoppiare. Al di la della stanza una porta, scorrevole di quelle giapponesi che separa il salone dalla sua camera, vicina a questa altre due porte, una che da su uno spazioso bagno, l'altra che da sulle delle scale che scendono nel buio.
Una sigaretta si accende, il fumo dritto si libra in aria, il passo è svelto e porta alle scale, un battito di mani e la luce si accende.
Un nero sacco di pelle penzolante in mezzo alla stanza illuminata da delle piccole finestre, più in la una panca con bilanciare, dei manubri per terra, sulla sinistra un'armadio a vetro pieno di coltelli e spade quasi dovesse conquistare il mondo.
Il fumo muore lentamente in un portacenere, lentamente si scalda le articolazioni, i polsi e il collo ruotano in senso orario e poi di nuovo in senso antiorario, inspira lentamenre dal naso per poi buttare via dalla bocca con uno sbuffo. Ora è pronta, ora si può cominciare.
L'allenamento inizia mentre il sole lento spicca dalle finestre, e dentro quel ripostiglio è solo sudore e caldo, sudore e pugni, il sacco più volte si piega sotto i colpi di lei, il respiro ora si fa più pesante, i muscoli stridono ad ogni colpo, l'adrenalina sta facendo il suo gioco.
Poi come un tuono nel deserto, il telefono squilla, il rumore metallico rimbomba per la casa fino ad arrivare da lei come un missionario del destino, la bocca si storce...” Di mattina presto sono solo scocciature...”. Supera i gradini due a due, mentre ancora il telelfono squilla come un urlo di battaglia, la mano afferra la cronetta, cerca di placare il fiatone, poi:
“Chi è?”
Una voce di un uomo, che sa di un vizio mai smesso : “ Sono il tuo angelo custode, amore, e ho un bel ragalino per te”
Riconosce la voce, niente di buono. Risponde fredda: “Nei tuoi regali c'è sempre del marcio, spara!”
La voce dell'uomo ora si fa seria: “Piazza Numero 5, ore 15.00, si prevede pioggia mista a neve, si raccomanda di coprirsi a dovere. Ricevuto?”
Lascia che la memoria imprima quel nome nella sua testa, rispondendo “ Ricevuto, ma se questa volta non sarai puntuale nel pagamento, rimpiangerai di avermi conosciuto”
L'uomo sorridendo: “ Ricevuto cucciola!”
Lei riattacca sbattendo la cornetta, dio quanto odiava i modi di quell'uomo, ma era l'unico che non faceva domande sul chi era lei, pagava bene, e gli piacevano i lavori sporchi, alla fine quei due non erano poi cosi differenti.
Passò vicino alla scrivania, una macchina fotografica di ultimo modello risaltava su quel nero tavolo, la fisso per qualche istante, mentre sussurava piano “Ora tocca a noi..:”.
E le utlime due ore passarano nei preparativi, alla fine si ritrovò davanti allo specchio prima di uscire. Aveva dei pantaloni mimetici neri e blu, con sotto dei neri anfibi, una canotta color verde militare che risalteva il prosperoso seno, e sopra kefia bianca e nera che dolcemente era legata intorno al collo, i capelli raccolti in una coda stretta, nella mano destra una macchina fotografica, e dietro alle spalle uno zainetto nero.
Ora era pronta, pronta per andare  in un caldo pomeriggio di violenza urbana.
Saranno passati cent'anni, cent'anni lunghi forse come mille, cent'anni di dura e violenta repressione, cent'anni in cui la mano del potere ha lentamente stritolato la CittàsenzaNomi, cosi dalle pagine di storia si legge che quella città era nata cento anni fa, e prima non c'era stato nulla, e prima era stato solo un grande buio.
I libri recitavano cosi: “ 100 anni fa in questa landa di nessuno, arrivo la dinastia dei Deca, che aveva un grande sogno, fondare una città, dove tutti fossero uguali alla legge, dove tutti vivessero in felicità, dove la violenza fosse solo una parola da pronunciare a bassa voce, e tutto era mosso da un Re che operava per il bene e la prosperità della popolazione. In questo sogno utopistico furuno richiamati impreditori da ogni parte del mondo, la gente accorse per prendere parte alla più grande città che il mondo avesse mai visto. La città crebbe in un batter d'occhio, cresceva con geometria incredibile, due grandi strade tagliavano ortogonalmente la città a incontrarsi nel mezzo, e via via le altre strade si diramavano parallelemente a queste, al centro vi era un grande pallazzo di una bellezza rara, le strade furono numerate e non gli fu assegnato nessun nome  a ricordare che nessuno era più importante dell'altro e che tutti erano ugualmente responsabili della grandezza della città.
Un corpo di polizia, colorati completamente di bianco, come il colore della dinastia dei Deca, manteneva l'ordine nella città, e per la prima decade non si registrarono nessun segno di malavita, tutte le persone vivano felici, senza paura ne timori.
Ma dopo qualche anno per le strade della città perfetta, cominciarono a comparire volantini di color rosso sangue che denunciavano sparizioni di persone indagate dallo stato, ma poco a poco anche quei volantini sparirono.
Una notte di 85 anni fa, dieci persone vestiti di rosso con delle lunghe tuniche, imbrattarono il muro dello splendente palazzo accusando il Re di esser un dittatore e di controllare ogni singola vita presente in quella città, fù mandata la polizia a calmare gli animi di quelle persone a riporre l'ordine nella città, ma per un tragico incidente quelle dieci persone morirono nella collutazione, quello fu il primo omicidio che si verifico nella CittàsenzaNomi.”
Oggi dopo 85 anni, quei rossi volantini ricoparvero a ricoprir le strade, numerosi come le foglie d'autunno, in questi 85 anni nessun omicidio si era verificato,  ma le strane sparizioni continuavano a persistere, ora qualcosa si muoveva sotto la città perfetta, qualcosa che stava per esplodere...e lei, era li, a immortalare quel giorno che sapeva gia di storia.
Il cielo grigio, in una giornata senza vento, sembrava quasi che il tempo si era fermato ad aspettare che accadesse qualcosa. Lei distesa per terra, la pancia a toccar un sucido pavimento di un terrazzo posto all'ultimo piano, le braccia davanti a lei a tener stretta la macchinetta,la kefia tirata su fino alla punta del naso,un capello che scende sulla fronte, una sigaretta mezza spenta che fuma vicino al suo braccio. Silenziosa aspetta.
Sotto di lei si stendeva la piazza, un enorme rettangolo dove ad ogni angolo convergeva una via, al centro un piccolo prato anche esse quadrato, al centro una statua che rappresentava un guerriero, coperto di splendente armatura brandire la sua lama e puntarla verso il cielo, il bianco del marmo risplendeva cieco in quella grigia giornata, un incisione riportava tali parole: “Sia lode al nostro Fondatore”.
Intanto nella mente di lei, piccoli pensieri logici cercavano di trovare la strada a come si era arrivato a questo, quella città che doveva esser perfetta ormai era marcia fino al midollo ma finchè i soldi giravano vi erano soldi anche per le mazzette da dare alla polizia, ai telegiornali, alle stampe in modo da non far perdere il lustro alla cittàsenzaNomi, ma qualcosa era andato storto, un ingranaggio si era rotto, l'orologio aveva smesso di contare.
Furuno come uccelli, furono veloci e silenziosi, quasi sfiorassero il pavimento, uomini e donne vestiti di rossa tunica dal capo ai piedi ora entravano con passo svelto dalle vie laterali della città e si dirigevano verso il centro della piazza, i passanti rimanevano imbabolanti a guardare quello spettacolo, alcuni sorrisero, altri scapparono, altri ancora chiesero, lei cominciò a scattare.
Poi quella rossa folla si divise, alcuni cominciarono a macchiare di inchiostro rosso quelle grigie mura della città, la parola libertà venne scritta almeno 100 volte mentre gli altri si apprestevano ad abbattere con piccozzi e martelli la bianca statua.
Una gocce, due gocce...piove. La tempesta arriva.
Il tempo di due battiti di ciglia, un respiro, la macchinetta che viene coperta da un coperta di plastica ed ecco che nella piazza compaiono un esercito di poliziotti in tenuta anti sommossa, i bianchi caschi risplendeva sotto quella fioca pioggia, gli scudi vennero alzati, i manganelli branditi.
La paura nei rossi, lentamente si ritirano tutti intorno alla statua, quasi ora la dovessero difendere, le mazze vengono branditi, urli di paura e di coraggio: “Ridateci la Libertà!!!!!!!”. “Pezzi di merda, siete solo sporchi schiavi di questo govero!!!”. “Libertà..Libertà...Libertà!”.
Poi una voce, proveniente da un megafono, scandisce bene le parole “Avete appena disobbedito alle leggi Reali, che vietano l'associazioni di gruppi in luoghi pubblici, se opporete restistenza, useremo la forza fin quando riterremo che la situazione non si sia calmata. Gettatevi a Terra!!”
Ma quelli per risposta, non si mossero di un millimetro e strinsero ancora di più le mazze tra le mani, mentre da un palazzo scendeva uno striscione “Voi ci avete rubato le persone, Noi ci prenderemo la Città”.
Piove, e la piazza si tinge di rosso, piove, e furono  urla a coprire i tuoni.
I cellerini caricano, e caricano ancora e ancora e ancora, userano scosse elettriche e calci in faccia per riportare l'ordine, e usarano bastonate sulle ginocchia e lacrimogeni per riportare la pace.
Piove, e la piazza non parla più, piove ed il rosso delle tuniche si è mischiato con quello del sangue.
Il fiato bloccato, il dito che continua a scattare senza tosta, gli occhi sgranati,il cuore che impazzisce, cerca di riflettere, cerca di capire cosa stia succendo, ma può solo scattare e scattare ancora...
Poi qualcosa rompe quella intimità con la macchinetta, una porta metallica che si apre alle sue spalle, dei passi veloci, si gira, ma è troppo tardi il calcio arriva prima che potesse capire. La punta di uno stivale gli sfreggia uno zigomo, rotola, dolorante da un lato, il sangue comincia a scorrere, un'altro calcio arriva e questa volta si infila tra due costole, sputa dolore e saliva. Il bianco stivale si alza verso l'alto pronto a ricadere sulla testa schiacciandola sul pavimento e render cervello e cielo una sola cosa. Ma i riflessi si attivano, come la rabbia, l'adrenalina viene pompata nelle vene, veloce si sposta lateralmente, schiva il colpo, si alza con un colpo di reni, trovandosi ora faccia a faccia con quel bianco poliziotto, quasi fosse un angelo venuto a giustiziarla.
Sulle labbra bagnate dal sangue si intravede un flebile sorriso, poi sono solo perfetti e calcolati movimenti, ormai automatizzati.
Il corpo di lei si torce verso sinistra mentre il gomito destro fende l'aria a spezzare il naso, sangue a fiotti, le mani si cingono dietro la testa di quello, il ginocchio destro viene caricato all'indietro, inspira e espira mentre fa volare il ginocchio contro il volto Come fosse un ramo secco che si rompe, ecco che il bianco poliziotto oscilla indietro, gli occhi gonfi di sangue, non ci vede più, il sangue che scende quasi fosse un fiume in piena, barcolla leggermente, ma è troppo tardi...
Come una bianca colomba, in impicchiata vola verso il basso, preceduto da un urlo di paura, poi è uno schianto, le ossa che si rompono, il cervello che schizza sulla vetrina di un negozio, il corpo tumefatto che rimane appeso ad un palo della luce, il silenzio che nuovamente cala nella piazza.
Ora nella testa solo una parola “Corri!”