domenica 25 dicembre 2011

Capitolo 2



[Istruzioni per l'uso: sentire Pink-Floyd mentre leggete]
Il mondo ha perso i colori, solo il bianco e grigio sono rimasti, ha perso anche i suoni, ha perso gli odori e i sapori, solo il bianco e grigio sono rimasti.
Una donna, alta e snella, nell'oscurità fissa una parete, lacrime amare scendono sulla sua bocca, la fredda canna di una pistola sfiora appena i capelli di lei, lentamente si poggia sulla tempia, la donna piange e i pensieri che se ne vanno, solo il bianco e il grigio sono rimasti.
Il pianto di un bambino irrompe nell'aria come un bombardamento, il cuore di lei va in cancrena, la mano trema, gli occhi si chiudono, i denti mordono il labbro, il dito si muove,il colpo esplode.
Ormai è troppo tardi, ormai tutti se ne sono andati, è rimasto solamente il bianco e grigio, ormai tutto è finito, la donna cade su di un lato,la testa aperta, il cervello per terra, gli occhi sbarrati,la pistola fuma, il sangue cola, ma ormai è troppo tardi ormai è rimasto solo il bianco e grigio e un immensa macchia rossa.
Si sveglia, gli occhi sgranati, l'adrenalina che pompa nelle vene, le mani a serrar le coperte, il fiato è corto, la bocca è semi aperta. Veloce guarda la finestra, piove, una bestemmia in bocca, mentre cerca di riprendere fiato.
Una sveglia dai colori fosforescenti segna imparziale l'ora, neanche le 5 di mattino, inutile tornare a dormire, si alza, nuda di una bellezza imbarazzante, si dirige verso il bagno, gia sa che quella notte è rovinata che mai riprenderà sonno, la mente che vola.
Una doccia veloce, pantaloncini e canottiera a brandir la sua pelle, i biondi capelli legati dietro, si siede davanti al suo caffè che ancora fuma. Gli occhi, gia vispi e pronti vagano per la casa.
Un ampio salone si spazia davanti ai suoi occhi, le pareti bianche, solo qualche foto in bianco e nero appesa al muro, foto di particolari di donne come occhi, labbra, seni, linee che sembrano quasi immaginari. Un divano di nera pelle si stanzia davanti al televisiore piato, una libreria che percorre due dei tre lati delle mura, gonfia di libri quasi dovesse scoppiare. Al di la della stanza una porta, scorrevole di quelle giapponesi che separa il salone dalla sua camera, vicina a questa altre due porte, una che da su uno spazioso bagno, l'altra che da sulle delle scale che scendono nel buio.
Una sigaretta si accende, il fumo dritto si libra in aria, il passo è svelto e porta alle scale, un battito di mani e la luce si accende.
Un nero sacco di pelle penzolante in mezzo alla stanza illuminata da delle piccole finestre, più in la una panca con bilanciare, dei manubri per terra, sulla sinistra un'armadio a vetro pieno di coltelli e spade quasi dovesse conquistare il mondo.
Il fumo muore lentamente in un portacenere, lentamente si scalda le articolazioni, i polsi e il collo ruotano in senso orario e poi di nuovo in senso antiorario, inspira lentamenre dal naso per poi buttare via dalla bocca con uno sbuffo. Ora è pronta, ora si può cominciare.
L'allenamento inizia mentre il sole lento spicca dalle finestre, e dentro quel ripostiglio è solo sudore e caldo, sudore e pugni, il sacco più volte si piega sotto i colpi di lei, il respiro ora si fa più pesante, i muscoli stridono ad ogni colpo, l'adrenalina sta facendo il suo gioco.
Poi come un tuono nel deserto, il telefono squilla, il rumore metallico rimbomba per la casa fino ad arrivare da lei come un missionario del destino, la bocca si storce...” Di mattina presto sono solo scocciature...”. Supera i gradini due a due, mentre ancora il telelfono squilla come un urlo di battaglia, la mano afferra la cronetta, cerca di placare il fiatone, poi:
“Chi è?”
Una voce di un uomo, che sa di un vizio mai smesso : “ Sono il tuo angelo custode, amore, e ho un bel ragalino per te”
Riconosce la voce, niente di buono. Risponde fredda: “Nei tuoi regali c'è sempre del marcio, spara!”
La voce dell'uomo ora si fa seria: “Piazza Numero 5, ore 15.00, si prevede pioggia mista a neve, si raccomanda di coprirsi a dovere. Ricevuto?”
Lascia che la memoria imprima quel nome nella sua testa, rispondendo “ Ricevuto, ma se questa volta non sarai puntuale nel pagamento, rimpiangerai di avermi conosciuto”
L'uomo sorridendo: “ Ricevuto cucciola!”
Lei riattacca sbattendo la cornetta, dio quanto odiava i modi di quell'uomo, ma era l'unico che non faceva domande sul chi era lei, pagava bene, e gli piacevano i lavori sporchi, alla fine quei due non erano poi cosi differenti.
Passò vicino alla scrivania, una macchina fotografica di ultimo modello risaltava su quel nero tavolo, la fisso per qualche istante, mentre sussurava piano “Ora tocca a noi..:”.
E le utlime due ore passarano nei preparativi, alla fine si ritrovò davanti allo specchio prima di uscire. Aveva dei pantaloni mimetici neri e blu, con sotto dei neri anfibi, una canotta color verde militare che risalteva il prosperoso seno, e sopra kefia bianca e nera che dolcemente era legata intorno al collo, i capelli raccolti in una coda stretta, nella mano destra una macchina fotografica, e dietro alle spalle uno zainetto nero.
Ora era pronta, pronta per andare  in un caldo pomeriggio di violenza urbana.
Saranno passati cent'anni, cent'anni lunghi forse come mille, cent'anni di dura e violenta repressione, cent'anni in cui la mano del potere ha lentamente stritolato la CittàsenzaNomi, cosi dalle pagine di storia si legge che quella città era nata cento anni fa, e prima non c'era stato nulla, e prima era stato solo un grande buio.
I libri recitavano cosi: “ 100 anni fa in questa landa di nessuno, arrivo la dinastia dei Deca, che aveva un grande sogno, fondare una città, dove tutti fossero uguali alla legge, dove tutti vivessero in felicità, dove la violenza fosse solo una parola da pronunciare a bassa voce, e tutto era mosso da un Re che operava per il bene e la prosperità della popolazione. In questo sogno utopistico furuno richiamati impreditori da ogni parte del mondo, la gente accorse per prendere parte alla più grande città che il mondo avesse mai visto. La città crebbe in un batter d'occhio, cresceva con geometria incredibile, due grandi strade tagliavano ortogonalmente la città a incontrarsi nel mezzo, e via via le altre strade si diramavano parallelemente a queste, al centro vi era un grande pallazzo di una bellezza rara, le strade furono numerate e non gli fu assegnato nessun nome  a ricordare che nessuno era più importante dell'altro e che tutti erano ugualmente responsabili della grandezza della città.
Un corpo di polizia, colorati completamente di bianco, come il colore della dinastia dei Deca, manteneva l'ordine nella città, e per la prima decade non si registrarono nessun segno di malavita, tutte le persone vivano felici, senza paura ne timori.
Ma dopo qualche anno per le strade della città perfetta, cominciarono a comparire volantini di color rosso sangue che denunciavano sparizioni di persone indagate dallo stato, ma poco a poco anche quei volantini sparirono.
Una notte di 85 anni fa, dieci persone vestiti di rosso con delle lunghe tuniche, imbrattarono il muro dello splendente palazzo accusando il Re di esser un dittatore e di controllare ogni singola vita presente in quella città, fù mandata la polizia a calmare gli animi di quelle persone a riporre l'ordine nella città, ma per un tragico incidente quelle dieci persone morirono nella collutazione, quello fu il primo omicidio che si verifico nella CittàsenzaNomi.”
Oggi dopo 85 anni, quei rossi volantini ricoparvero a ricoprir le strade, numerosi come le foglie d'autunno, in questi 85 anni nessun omicidio si era verificato,  ma le strane sparizioni continuavano a persistere, ora qualcosa si muoveva sotto la città perfetta, qualcosa che stava per esplodere...e lei, era li, a immortalare quel giorno che sapeva gia di storia.
Il cielo grigio, in una giornata senza vento, sembrava quasi che il tempo si era fermato ad aspettare che accadesse qualcosa. Lei distesa per terra, la pancia a toccar un sucido pavimento di un terrazzo posto all'ultimo piano, le braccia davanti a lei a tener stretta la macchinetta,la kefia tirata su fino alla punta del naso,un capello che scende sulla fronte, una sigaretta mezza spenta che fuma vicino al suo braccio. Silenziosa aspetta.
Sotto di lei si stendeva la piazza, un enorme rettangolo dove ad ogni angolo convergeva una via, al centro un piccolo prato anche esse quadrato, al centro una statua che rappresentava un guerriero, coperto di splendente armatura brandire la sua lama e puntarla verso il cielo, il bianco del marmo risplendeva cieco in quella grigia giornata, un incisione riportava tali parole: “Sia lode al nostro Fondatore”.
Intanto nella mente di lei, piccoli pensieri logici cercavano di trovare la strada a come si era arrivato a questo, quella città che doveva esser perfetta ormai era marcia fino al midollo ma finchè i soldi giravano vi erano soldi anche per le mazzette da dare alla polizia, ai telegiornali, alle stampe in modo da non far perdere il lustro alla cittàsenzaNomi, ma qualcosa era andato storto, un ingranaggio si era rotto, l'orologio aveva smesso di contare.
Furuno come uccelli, furono veloci e silenziosi, quasi sfiorassero il pavimento, uomini e donne vestiti di rossa tunica dal capo ai piedi ora entravano con passo svelto dalle vie laterali della città e si dirigevano verso il centro della piazza, i passanti rimanevano imbabolanti a guardare quello spettacolo, alcuni sorrisero, altri scapparono, altri ancora chiesero, lei cominciò a scattare.
Poi quella rossa folla si divise, alcuni cominciarono a macchiare di inchiostro rosso quelle grigie mura della città, la parola libertà venne scritta almeno 100 volte mentre gli altri si apprestevano ad abbattere con piccozzi e martelli la bianca statua.
Una gocce, due gocce...piove. La tempesta arriva.
Il tempo di due battiti di ciglia, un respiro, la macchinetta che viene coperta da un coperta di plastica ed ecco che nella piazza compaiono un esercito di poliziotti in tenuta anti sommossa, i bianchi caschi risplendeva sotto quella fioca pioggia, gli scudi vennero alzati, i manganelli branditi.
La paura nei rossi, lentamente si ritirano tutti intorno alla statua, quasi ora la dovessero difendere, le mazze vengono branditi, urli di paura e di coraggio: “Ridateci la Libertà!!!!!!!”. “Pezzi di merda, siete solo sporchi schiavi di questo govero!!!”. “Libertà..Libertà...Libertà!”.
Poi una voce, proveniente da un megafono, scandisce bene le parole “Avete appena disobbedito alle leggi Reali, che vietano l'associazioni di gruppi in luoghi pubblici, se opporete restistenza, useremo la forza fin quando riterremo che la situazione non si sia calmata. Gettatevi a Terra!!”
Ma quelli per risposta, non si mossero di un millimetro e strinsero ancora di più le mazze tra le mani, mentre da un palazzo scendeva uno striscione “Voi ci avete rubato le persone, Noi ci prenderemo la Città”.
Piove, e la piazza si tinge di rosso, piove, e furono  urla a coprire i tuoni.
I cellerini caricano, e caricano ancora e ancora e ancora, userano scosse elettriche e calci in faccia per riportare l'ordine, e usarano bastonate sulle ginocchia e lacrimogeni per riportare la pace.
Piove, e la piazza non parla più, piove ed il rosso delle tuniche si è mischiato con quello del sangue.
Il fiato bloccato, il dito che continua a scattare senza tosta, gli occhi sgranati,il cuore che impazzisce, cerca di riflettere, cerca di capire cosa stia succendo, ma può solo scattare e scattare ancora...
Poi qualcosa rompe quella intimità con la macchinetta, una porta metallica che si apre alle sue spalle, dei passi veloci, si gira, ma è troppo tardi il calcio arriva prima che potesse capire. La punta di uno stivale gli sfreggia uno zigomo, rotola, dolorante da un lato, il sangue comincia a scorrere, un'altro calcio arriva e questa volta si infila tra due costole, sputa dolore e saliva. Il bianco stivale si alza verso l'alto pronto a ricadere sulla testa schiacciandola sul pavimento e render cervello e cielo una sola cosa. Ma i riflessi si attivano, come la rabbia, l'adrenalina viene pompata nelle vene, veloce si sposta lateralmente, schiva il colpo, si alza con un colpo di reni, trovandosi ora faccia a faccia con quel bianco poliziotto, quasi fosse un angelo venuto a giustiziarla.
Sulle labbra bagnate dal sangue si intravede un flebile sorriso, poi sono solo perfetti e calcolati movimenti, ormai automatizzati.
Il corpo di lei si torce verso sinistra mentre il gomito destro fende l'aria a spezzare il naso, sangue a fiotti, le mani si cingono dietro la testa di quello, il ginocchio destro viene caricato all'indietro, inspira e espira mentre fa volare il ginocchio contro il volto Come fosse un ramo secco che si rompe, ecco che il bianco poliziotto oscilla indietro, gli occhi gonfi di sangue, non ci vede più, il sangue che scende quasi fosse un fiume in piena, barcolla leggermente, ma è troppo tardi...
Come una bianca colomba, in impicchiata vola verso il basso, preceduto da un urlo di paura, poi è uno schianto, le ossa che si rompono, il cervello che schizza sulla vetrina di un negozio, il corpo tumefatto che rimane appeso ad un palo della luce, il silenzio che nuovamente cala nella piazza.
Ora nella testa solo una parola “Corri!”

giovedì 22 dicembre 2011

Capitolo 1


[istruzioni per l'uso:  leggere il testo ascoltando questa canzone "L'erba di Grace"]

Capitolo 1

I secondi passavano lenti e inesorabili, le lancette ballavano il loro valzer monotono, una fioca luce gialla illuminava quello squallido bagno che sapeva di piscio e graffiti venuti male. Uno specchio, rifletteva quello squallido cesso di autogrill, uno specchio rotto rifletteva a metà il volto di quella ragazza. Il biondo di lei era sepolto dallo sgradevole odore, e quel mezzo sorriso su labbra color roseo si intonava perfettamente con gli insulti scritti sui muri con pennarelli mezzi finiti.
Si girò, una sigaretta pendeva dalle labbra, inspiro, i polmoni sorrisero,butti fuori e tutto divenne fumo.
Come un felino usci dal cesso e si incammino verso la macchina, lunghi tacchi rendevano le sue gambe lunghe autostrade di piacere, un corpino stretto esaltava le sue forme,le ossa sporgenti tagliavano i contorni di quella dea.
Una cadilacc eldorado, color pece, rifletteva il grigiore di quella notte, come una pantera aspettava la sua preda silente, i cerchioni e le portiere argentate rendevano il tutto più agressivo, quando la donna si avvicinò, parve quasi che i due fossero la stessa cosa.
Il mozzicone vola,la portiera si apre,il motore romba, quel sorriso che rimane stampato, gli occchi fermi ad anni luci da qui, le mani stringono il nero volante quasi a stritorarlo, le gomme stridono sull'asfalto, il felino si muove, la notte si squarcia, l'autostrada si srotola davanti ai suoi occhi, una bestemmia stampata su quel volto affamato di uomini.
Giunse al luogo prestabilito, un rapido sguardo ad un foglietto di carta, la via corrispondeva.
Un insegna luminosa dava luce a quello squallido vicolo, “EXIT”, il colore bianco del neon illuminava il nero asfalto coperto da lattine e cartaccie, il vicolo era stretto a stento ci passava la cadillac, una porta color metallo si stagliava sotto quell'insegna, per il resto erano solo muri a scomparir nel buio.
La mano di lei scivola sul croscotto velocemente lo aprì, un coltello lungo almeno 10 cm rifletteva la triste luce di quel vicolo,  con fare abituario lo mise all'interno dello stivale destro, un sorriso sordo rimaneva stampato sulle labbra, gli occhi fissi sulla porta.
Aspettava qualcuno, aspettava vendetta.
Il motore mori di colpo, i fari si spensere, il buio calò e il sipario si aprì. Mentre si dirigeva verso la porta presa da per terra una bottiglia di birra mezza piena, poi lentamente si accovaccio vicino alla porta, si bagno con la birra sul collo,la testa si appoggio tra le gambe, gli occhi si chiusero.
Ora si andava in scena.
La porta si aprì violentemente, un uomo sulla trentina usci con fare deciso, un abito scuro rendeva ancora più importante il suo passo, gli occhi mezzi spenti dall'alcool, una barba tagliata male delineava un espressione malata.
Velocemente lo sguardo di quello cade sulla donna, per qualche attimo rimane a fissarla, lentamente la lingua bagna le labbra, il battito sale, il cuore comincia a pulsare sangue, l'adrenalina fa il suo dovere mentre la mano serra un coltello a serramanico puntandola dritto alla testa della donna.
La voce esce roca, puzzava di alcool e di un deodorante di secondo mano. “Tu, Puttana!!! Alzati e muoveti se non vuoi che ti faccia lo scalpo...”si avvicina ancora un po, urlando ancora “Muoviti Puttana”.
La donna lentamente alzò lo sguardo, fintamente sbronzo, fintamente impaurito, era entrata nella parte ora era solamente una ragazza impaurita che aveva bevuto un po troppo, ora era innucua come un bambino.
La voce tremava come foglie al vento “Ti prego non farmi del male...ti prego,ti prego,ti prego” Si alzò in piedi, le mani verso l'alto a chieder perdono, gli occhi lucidi che fissavano terra.
Il puntale che sfiora la gola, la voce che si fa più dura “ Muovi quel culo, puttana!!” un gesto veloce del pugnale ad indicar il buio del vicolo, lo sguardo che sa di follia e dolore, l'odore dell'acool ricopriva le due figure,mentre un leggero venticello faceva da sfondo a quel quadro macabro.
La donna non disse niente, lentamente si incammino nell'oscurità,le braccia sempre alzate verso il cielo, i biondi capelli si nascondevano nell'oscurità, mentre le sinuose forme di lei si insuinavano perfettamente in quel buio ostile.
Quando i due si inoltrarono nel buio, l'ingranaggio scattò, la maschera di finzione si ruppe in mille pezzi, veloce e decisa la donna si voltò, come un felino pronto a colpire la sua preda, la mano sinistra che prende la destra dell'uomo a torcergli il polso, un ulro soffocato dal dolore, una lama che cadendo svanisce nell'oscurità.
Silenzio, la notte se la ride alzando una lieve brezza.
L'uomo messo a terra dalla ferrea presa di quella, gli occhi di lui sbarrati, la bocca mezza aperta per lo stupore,il predatore nel giro di mezzo secondo era diventato la preda, e ora il buio si fa più pesante e ora è la paura a gravargli sulle spalle.
Lei, ora la regina della notte, veloce alza la gamba destra, il tacco che punta verso l'alto, un scintillio nell'oscurità. La gamba fende la notte, un urlo afono di lui squarcia il silenzio, il tacco si conficca nell'occhio, il sangue bagna la notte, la luna sorride  beffarda, lei sorride.
Ancora cosciente, quel vecchio pieno di vodka nelle vene, prova a balbettare qualcosa mentre sangue e saliva escono dalla sua bocca, lei replica, fredda “Il tacco ancora non ha intaccato il tuo schifoso cervello, aspetterò 5 secondi prima di mandarti al creatore....schifoso stupratore”
Lui piange, era da tanto che non piangeva, ora piangeva sangue, voleva vivere, voleva maledettamente vivere, ancora prova a parlare per chiedere perdono, ma non esce niente apparte un rantolo che sa di alcool.
“1...2...3...4...5...”
Un rumore sordo,la gamba che avanza e poi gira,gli occhi di lui si spengono mentre il corpo ricade all'indietro, il volto deformato dal dolore che perfettamente si abbina a quello squallido vialetto.
Lei si accarezza appena i capelli, come un angelo lento si muove verso la macchina lasciando dietro di se un'altra vittima, un'altra vendetta. Una malboro viene accessa, la brace illumina un sordo sorriso su quelle labbra scarlatte, in tre tiri la sigaretta finisce, la cera si accumula e poi cade quasi a segnar dove quella è passata. Il mozzicone vola, mentre la portiera si apre, il rombo del motore squarcia la notte, la macchina sfreccia all'indietro, in un'attimo tutto scompare, in un'attimo non c'è ne preda ne predatore, ma solo un uomo con le vene piene di vodka e un'occhio cavato.
La notte silenziosa muore.
Un vecchio, alto e massiccio, con un lungo impermeabile addosso, rimane a guardare sotto la pioggia quello spettacolo macabro, un agente veloce si avvicina alle sue spalle “ Signore, abbiamo raccolte tutte le prove che abbiamo trovato, possiamo tornare in centrale, il corpo verrà spostato presto...”. Il vecchio si gira, la barba folta e una pipa tra le labbra, bofonchia appena “ Andiamocene , ho preso fin troppa pioggia quest'oggi”. Silenzio mentre si allontana, per poi pronunciare prima di sparire dalla vista degli agenti ancora li presenti “ E' inutile fare domande ad un morto, figuriamoci quando gia sai la risposta..”

giovedì 15 dicembre 2011

L'incontro


[Istruzione per l'uso: prima della leggere fate partire questa traccia Kings of Leon- Radioactive]
C'era una volta e adesso non c'è più.
Poi c'era lei e ancora adesso è lì, bionda, occhi celesti a prendere in giro quel cielo grigio, e quel cielo si che era grigio, cazzo, se era grigio, grigio come la noia,grigio come la sorte,grigio come il fumo delle sigarette mai spente. Ma non piangeva, no quel fottuto cielo grigio aveva deciso di rimanere li, fermo immobile, una sottile lastra di fumo per coprire ogni colore, sembrava un boia che non vuole affondare il colpo. Fermo senza lacrime. Fermo e Basta.
La bionda, con gli occhi che sembravano di ghiaccio, stava sotto quel cielo, che tanto lei il cielo non lo guardava, che tanto a lei del cielo non fregava un cazzo, perché lei ha solo gli occhi per guardare avanti e l'anima sotterrata in un mare di petrolio.
E poi c'è un vecchio davanti a quella, un vecchio di quelli che sembrano gia morti e  non lo sai, di quelli che hanno due occhi dove ti ci perdi e non ritorni più, e il vecchio guarda quella bionda e con passo traballante si muove verso quella, ma tanto quella non lo guarda, lei ha gli occhi solo per guardare avanti a se.
Il vecchio parla e sembra che il cielo si muova: “Quando arriverai alla fine della strada,che troverai?”. Ma quella  immobile sotto quel cielo color cenere rimane,immobile senza muovere un muscolo,gli occhi fissi davanti a se e tutto intorno è grigio, poi parla, fugace la voce: “Qualcosa troverò.”
Il vecchio sorride, si volta, guarda quel cielo che sa di tristezza e pioggia,sorride ancora,ma non ride, sospira e :” Guarda questo cielo, cosi  triste e solo che non si permette neanche di piovere,eppure non si muove da qui, eppure non tu non ti muovi da qui.” “Lasciami stare vecchio.” Risponde quella secca.
Il vecchio le passa vicino e la supera,intanto il cielo e il buio si uniscono divenendo una cosa sola,e alle spalle del vecchio sembra quasi che non ci sia più nulla. Poi prima di scomparire,dice per l'ultima volta” Non conta quando lontano andrai, se non ti fermerai mai a guardare il cielo, sarà come se non avessi mai camminato”.
Il vecchio sparisce,lei rimane, il cielo pure, e nessuno dei due si muove e nessuno dei due ha la forza per piangere e tutti e due sono grigi come i cimiteri.

p.s. E' il prologo di un racconto.

mercoledì 14 dicembre 2011

Nessun Contatto

[Istruzioni per l'uso: durante la lettura del brano ascoltate Chemical Brothers- All Right Reversed]
Gli areoplani sorvolerrano i cieli spenti, squarcieranno le notti insonne, renderanno pace agli dei caduti, sposteranno me e te in luoghi diversi, separeranno i nostri universi, e alla fine ci giustizieranno.


Ma ora, No. Ora come due pianeti che si attragano rimaniamo nel silenzio di questo caos, rimaniamo immobili a fissarci nell'infinità di questo deserto, mentre il muro della musica si alza, mentre i nostri corpi si dileguano e le nostre menti tremano. Come poveri affamati, compriamo la felicità pesandola, rendiamo giustizia alle nostre sinpapsi uccidendole del tutto. Le pupille respirano e si allargano, come i nostri polmoni che si nutrono di questa sabbia che sa di sudore e note, di vomito e dolore, di danze e occhi lucidi.


L'orologio si ferma, il muro del suono è troppo alto, blocca ogni cosa, ogni pensiero, ogni movimento, il muro cresce sempre di più, coprendo il sole e la luna, ancora immobili, poi qualcosa si rompe, la lancetta riprende a muoversi, il muro esplode e ci travolge, i nostri corpi come foglie vengono trasportati alla deriva. Ora si balla, ora si vive, ora si gode.
Il sole, come boia al patibolo segnerà la fine, lento alzerà la sua scure per poi portarla dritta sul nostro capo, ci staccherà la musica e la testa. Torneremo fermi e senza musica, torneremo a sorvolare le nostre paure e i nostri desideri senza mai toccarli, torneremo a maledire gli aerei, e lentamente ci allontaneremo, perchè la gravità si romperà come un vetro.


Quando ti volterai indietro non potrai vederci, perchè non ci siamo mai stati, quando guarderai davanti non ci vedrai lo stesso, perchè non ci saremo mai, ma se guarderai il cielo e ti sentirai viva è perchè anche io starò guardando il cielo, e come due telefoni collegati da fili invisibili, come due universi uniti da una goccia, riusciremo a sentirci, per un inifito attimo, ascolteremo di nuovo il muro del suono rompersi, la sabbia salirà sulle nostre labbra e inonderà i nostri occhi. Ma sarà solo un secondo fatto di niente, goditelo a pieni polmoni, poi nuovamente torneremo sui nostri aerei che sempre di più ci porteranno via, sempre di più scompariremo, lasciando dietro di noi un futuro che non c'è mai stato, lasciando un universo fatto di se e di ma, che lentamente anche lui scomparirà.

mercoledì 7 dicembre 2011

The Heart Skipped a Beat

[Istruzioni per l'uso ascoltare questa canzone The Heart Skipped a Beat-TheXX mentre leggete]

Siamo calcoli di probabilità, siamo percentuali infinitesime, pura casualità che come in vortice infinito estrae i suoi numeri.

Oggi toccava a te, domani non più.

Figli del caos, immersi nel fango delle probabilità, lentamene avanziamo, coperti fino alla bocca, appena riusciamo a respirare, troppo è il peso sulla nostra pelle che lentamente ci porta giu verso un infinita oscurità, boccheggiamo, la nera melma delle probabilità entra nei nostri polmoni e annebbia la nostra vista, non possiamo fare più niente, inermi, sepolti da un nero mare di possibilità veniamo trasportati dalla corrente della casualità.

Oggi toccava a te, domani non più.

Come numeri di un pallottoliere vieniamo estratti, il tuo numero era stato pronunciato, una madre aveva sussultato e un fratello aveva sorriso, e tu leggiadra ti immergevi nell'infinito fiume delle probabilità, leggiadra come piuma ora ci danzavi, aspettando il giorno in cui il sole ti avrebbe illuminato il viso, aspettavi e cantavi di posti mai visti prima, aspettavi e sorridevi ad una vita che non avevi mai visto.

Oggi toccava a te, domani non più.

Nessuno mai ascolterà le tue canzoni, e non ci saranno occhi a risplender del tuo sorriso ne mani a scaldarti la pelle, non ci sarà madre a vivere nella tua mente, ne fratello su cui piangere di notte. Siamo solo infinite percentuali in un fiume di probabilità.

Rimani ancora li sulla riva di questo lungo fiume color notte, rimani ancora li a danzar con i tuoi pensieri, rimani ancora li a fissar le stelle, rimani ancora li, perchè ieri toccava a te oggi non più.

Butterò per sempre queste parole nel mare delle probabilità, sperando che un giorno si posino accanto a te sulla riva, facendoti sentire meno sola nella desolazione della casualità.

Ieri toccava a te, oggi non più, e il mio cuore ha saltato un colpo.

(Dedicato a mia sorella)

lunedì 5 dicembre 2011

Catch the Wave


[istruzioni per l'uso ascoltare questa canzone Hold Up Your Hand- Crookers durante la lettura]

Sei andato su, sempre più su, miravi al sole,

I tuoi pensieri erano ali, il tuo sguardo verso il sole,

tu volavi su e non ti sei fermato più.

Tutto intorno a te si muoveva, tutto intorno a te ti sosteneva,

il tuo nome era l'unica parola nella testa, le mani serrate verso l'infinito.

Al sole sei arrivato, la tua mano l'ha sfiorato, ma quello come cera sotto la tua pelle si è deformato, le ali come cenere si sono perse nel vento.

Ti sei guardato intorno e non c'era più nessuno, hai guardato avanti non c'era più niente da raggiungere.

Poi hai guardato sotto di te, solo sporca terra, I tuoi piedi hanno fatto un passo, dietro altri mille, davanti solo un salto.

Sul braccio un tatuaggio: “ Se vuoi fare un passo, devi perdere l'equilibrio”